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Acqua pubblica: il 4 dicembre una manifestazione regionale a Cosenza

Oltre un milione e quattrocentomila donne e uomini in tutta Italia, oltre 40mila in Calabria, hanno firmato i tre quesiti referendari per la ripubblicizzazione dell’acqua, promossi dal Forum Italiano dei Movimenti per l’acqua e da una grandissima coalizione sociale raccolta nel Comitato Promotore. Hanno posto la loro firma per una battaglia di civiltà, per la tutela e l’accesso universale ad un bene comune,contro ogni forma di privatizzazione e di consegna al mercato di un bene essenziale alla vita.Con la loro firma, quelle donne e quegli uomini hanno posto un’imprescindibile questione di democrazia sulla gestione di un bene fondamentale per la vita: questa importante decisione non può essere delegata ad alcuno, ma deve appartenere a tutti attraverso il referendum.

Per questo, per non tradire la fiducia e le aspettative della popolazione, chiediamo la MORATORIA: un provvedimento di legge immediato che posticipi le scadenze previste dalla “legge Ronchi” per la soppressione degli ATO.

In Calabria, il timore non è quello di veder finire la stagione degli ATO, spesso carrozzoni buoni solo a sperperare danari pubblici, ma di andare ad una riforma del settore che porti all’accorpamento in un unico Ambito regionale. Ciò significherebbe il controllo completo del privato in un settore dove già la francese Veolia, partner della regione Calabria nell’attuale gestione, sta operando indisturbata: applicazione ai comuni di tariffe illegittime, contrazione di mutui con banche indagate per la truffa dei derivati, consulenze e appalti oggetto di inchieste da parte della Magistratura, per non parlare dello scandalo dell’approvvigionamento idrico nel vibonese, o dei diversi comuni cui la Sorical-Veolia sta imponendo contratti capestro, pena la riduzione delle forniture per debiti pregressi.

Il successo della campagna referendaria anche in Calabria dimostra la volontà della popolazione tutta di una gestione pubblica, trasparente, democratica del servizio idrico: per questo siamo contrari a tutte le forme di privatizzazione, compresa quella della Lamezia Multiservizi, ultima grande municipalizzata calabrese interamente a capitale pubblico.

La battaglia per l’acqua, per la sua riappropriazione sociale , per la sua gestione pubblica e partecipata, è di per se un valore che si inserisce in un orizzonte più vasto: quello della tutela dei diritti e dei beni comuni, della “Madre Terra“ nostra casa comune !

Dal 29 novembre al 10 dicembre 2010 si riunirà a Cancun il COP 16, dove nell’ambito dell’Onu, i Governi discuteranno su una delle grandi emergenze che il pianeta si trova ad affrontare: quella dei cambiamenti climatici di cui già oggi oltre 600 milioni di esseri umani, soprattutto nel Sud ma sempre più spesso anche nel Nord del mondo, subiscono le conseguenze negative dei disastri ambientali. Un anno fa a Copenaghen, i governi dei paesi industrializzati decretarono il fallimento del COP 15 per i loro interessi speculativi e di profitto. In quella occasione, a Copenhagen e in tutto il mondo, ci furono grandi manifestazioni per dire che “responsabile è il sistema, non il clima”, perché è l’insostenibile modello di sviluppo che domina il mondo a distruggere non solo il presente ma anche le speranze di futuro.

Per questo il 4 dicembre anche in Calabria come a Cancun, come nel resto d’Italia e del mondo, i movimenti protagonisti delle lotte sociali, dal mondo del lavoro alla scuola, dalla difesa dei diritti a tutte le vertenze ambientali, manifesteranno per dire a chiare lettere che se il clima fosse stato una banca sarebbe già stato salvato e che il cambiamento climatico si combatte con la giustizia sociale e ambientale.

Perché si scrive Acqua ma si legge Democrazia!

Coordinamento Calabrese Acqua Pubblica “Bruno Arcuri”


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Dopo il 16 ottobre

Il 16 Ottobre a Roma quasi un milione di persone hanno manifestato pacificamente per affermare che il Lavoro è un bene comune e dire No con forza ai ricatti e Si ai diritti. Queste parole d’ordine sono paradigmatiche di un intera realtà sociale, hanno incarnato al meglio la disperazione sociale che giornalmente abita la vita di tanti e che troppo spesso si traduce in un senso di frustrazione implacabile dato dalla percezione della propria impotenza.

Siamo in un epoca in cui lo scheletro di diritti che ritenevamo oramai acquisito, il lascito di tante lotte che i nostri antenati hanno duramente combattuto, conosce un’erosione giornaliera sotto i colpi di una modernità arcaica e ipocrita. Cosi capita che in nome della modernità la gestione pubblica dell’acqua debba divenire privata, secondo l’irrazionale disegno che solo il libero mercato può costruire una gestione Universale, Efficiente e Razionale del servizio. Basta conoscere i risultati della gestione privata dell’acqua in tanti paesi per sapere che le tariffe volano sempre più su,e la qualità e quantità degli investimenti infrastrutturali e del servizio sempre più giù. Ma il punto è che la presunta modernità della privatizzazione, secondo i disegni del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, è terribilmente uguale alla situazione di fine ottocento quando l’acqua in casa era per pochi, solo per quelli che se la potevano permettere, e il servizio pubblico era semplice utopia. Dunque, la modernità tutta liberalizzazioni e precarietà altro non è che un tuffo nel passato più nero e disperato!

E’ una modernità terribilmente vecchia e ammuffita quella di Marchionne, del Governo e dei sindacati padronali (Cisl-Uil). La costituzione di un accordo dei metalmeccanici separato in barba alla democrazia dei lavoratori che avevano approvato e sottoscritto quello del 2008, il tentativo di abolire il contratto nazionale collettivo di lavoro cosi da poter ritornare a quando ogni lavoratore doveva contrattare singolarmente la propria posizione lavorativa, prigioniero di una sassaiolo ricattatrice piuttosto che di una dinamica contrattuale complessa e iniqua, ci riporta direttamente nell’800.

E sono tante le modernità triviali ammantate di necessità storica per coprire la loro funzionalità agli interessi del capitale, della grande finanza e delle mafie. Sembravamo però, ormai da tanto, in un terribile labirinto di sordità reciproche in cui tutti noi recitavamo, alcune volte con dovizia tecnica e politica, le piaghe della modernità sulla nostra pelle ma senza riuscire a trovare un nesso fra le nostre disperazioni e precarietà. Il 16 Ottobre segna la costituzione di un nuovo Noi, ancora sfocato e liquido, ma terribilmente chiaro nella sua composizione sociale e nell’intensità sella sua rabbia.

E’ un intera generazione, che vedendosi negar quel complesso e meraviglioso insieme di diritti sociali che la nostra costituzione enuncia per costruire l’uguaglianza sostanziale, oggi dice no al ricatto e rivendica forte la dimensione del diritto contro quella del privilegio! Sono i giovani del meridione costretti a mercanteggiare il loro futuro nella piazza affollata del clientelismo regolatore indipendentemente dai loro studi, delle loro competenze e delle loro speranze! Sono gli studenti universitari che difendono l’Università dalle mannaie Tremontiane, che difendono il sapere dalla sua supina subordinazione alle esigenze del mercato, e che svelano l’inganno del presunto intreccio virtuoso tra formazione e lavoro attuale finendo, ogni giorno, nelle grinfie sfruttatrici di Call Center di tutti i tipi! E sono, ancora una volta, gli operai, quelli di Pomigliano, che dinanzi al ricatto cosi odioso del loro padrone, presunto capitalista illuminato, tra il lavoro e la dignità scelgono un lavoro dignitoso. Svelano una terza via, quella che nessuno ti può elargire o consentire, perché ti spetta di diritto. Perché sa di costituzione, di quel sapore acre del sangue dei resistenti ma dolce di libertà, perché il lavoro dignitoso è un diritto, un bene Comune e non una merce acquistabile da qualche padroncino che cita Marx per esorcizzarlo!

Il 16 Ottobre è stato importante perché tutte queste storie hanno trovato un minimo comun denominatore e gli attacchi isterici di ministri impresentabili, che hanno equiparato il lancio di uova all’inizio di un percorso terroristico, palesano la paura di chi sente il vento cambiare e la potenza della partecipazione popolare e democratica produrre i suoi effetti. Ora sta a noi. Nei territori e nei luoghi di lavoro costruiamo l’unità del 16, dinanzi all’attacco onnivoro del capitale costruiamo l’ampia alleanza vitale e democratica di tutte la forze sociali che lavorano per abbattere questo sistema. Sarà un autunno resistente che dovremo affrontare fuggendo dalle solitudini settarie o dai velleitarismi istituzionali ma costruendo democrazie partecipate e conflittuali in ogni pertugio d’esistenza, in ogni luogo in cui il ricatto fino ad oggi ha bivaccato e abitato tranquillo. Be, qualcuno lo avverta che sta arrivando lo sfratto!


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